sabato

Chiacchierando con una nostra lettrice questa mattina di questo libro. "il vecchio e il mare" di Hemingway

Nella disperata caccia a un enorme pesce spada dei Caraibi, nella lotta, quasi letteralmente a mani nude, contro gli squali che un pezzo alla volta gli strappano la preda, lasciandogli solo il simbolo della vittoria e della maledizione sconfitta, Santiago stabilisce, forse per la prima volta, una vera fratellanza con le forze incontenibili della natura e, soprattutto, trova dentro di sé il segno e la presenza del proprio coraggio, la giustificazione di tutta una vita.

giovedì

Due parole su "Libertà" di Franzen. 27-I-XII

Walter e Patty erano arrivati a Ramsey Hill come i giovani pionieri di una nuova borghesia urbana: colti, educati, progressisti, benestanti e adeguatamente simpatici. Fuggivano dalla generazione dei padri e dai loro quartieri residenziali, dalle nevrosi e dalle scelte sbagliate in mezzo a cui erano cresciuti: Ramsey Hill (pur con certe residue sacche di resistenza rappresentate, ai loro occhi, dai vicini poveri, volgari e conservatori) era per i Berglund una frontiera da colonizzare, la possibilità di rinnovare quel mito dell'America come terra di libertà "dove un figlio poteva ancora sentirsi speciale". Avevano dimenticato però che "niente disturba questa sensazione quanto la presenza di altri esseri umani che si sentono speciali". E infatti qualcosa dev'essere andato storto se, dopo qualche anno, scopriamo che Joey, il figlio sedicenne, è andato a vivere con la sua ragazza a casa degli odiati vicini, Patty è un po' troppo spesso in compagnia di Richard Katz, amico di infanzia del marito e musicista rock, mentre Walter, il timido e gentile devoto della raccolta differenziata e del cibo a impatto zero, viene bollato dai giornali come "arrogante, tirannico ed eticamente compromesso". Siamo negli anni Duemila, anni in cui negli Stati Uniti (e non solo...) la libertà è stata come non mai il campo di battaglia e la posta in gioco di uno scontro il cui fronte attraversa tanto il dibattito pubblico quanto le vite delle famiglie

lavori in corso. rimettiamo in piedi questo blog.

mercoledì

Pro e Contro Marx, Ritrovarlo sotto le macerie dei marxismi-Edgar Morin (2010 Erickson)

a cura di Alessandro Pascale

Edgar Morin è uno delle menti “post-marxiste” senz’altro più interessanti in circolazione per curriculum politico e varietà di approcci disciplinari. La sua vita inoltre, come ci tiene a far sapere lui stesso, è estremamente simbolica dell’evoluzione del ventesimo secolo, anche se in controtendenza per ciò che riguarda l’ultimo ventennio, quando staccandosi dai numerosi detrattori della filosofia marxiana ha scelto di tornare a recuperare quest’ultima in maniera critica combattendo il degradante e irrazionale abbandono cui rischiava di venire lasciata.
Recuperare Marx non però in un’ottica marxista (cioè in una dottrina sistematizzata e totalizzante) bensì marxiana (accogliendo cioè la sua logica di pensiero aperto in continua evoluzione, suscettibile di continue modifiche e miglioramenti), evitando qualsiasi tipo di dogma, base per messianismi di sicuro impatto deleterio sul lungo termine.
Ma su questi concetti Morin non è particolarmente illuminante, ripetendo discorsi e argomentazioni sostanzialmente già sentiti dalla gran parte degli autori “seri” che da un certo periodo di tempo si ri-approcciano all’autore tedesco.
In realtà ci sono alcuni punti squisitamente peculiari che vale la pena sottolineare della raccolta di saggi di Morin:

“Bisogna conservare per rivoluzionare e rivoluzionare per conservare”, ossia “la constatazione imprescindibile che la rivoluzione ha bisogno di conservare non solo i nostri esseri biologici, ma anche la natura, la biosfera, la diversità del mondo, le culture che vogliono vivere, l’eredità del passato che contiene i germi del futuro.”
Siamo cioè di fronte al semplice concetto che qualsiasi messaggio si riconduca a ciò che ha rappresentato “l’universo rosso” del ventesimo secolo oggi non può che rifondarsi ripartendo dall’imprescindibilità di un legame con la questione ambientale. In fondo era una connessione già evidente con la dottrina della decrescita di Serge Latouche, ma la novità è il rovescio della medaglia: “bisogna rivoluzionare per conservare” è l’evidente considerazione che non c’è possibilità di salvezza terrena senza un cambiamento radicale, rivoluzionario per l’appunto, del sistema economico mondiale e di ciò che lo guida: la mentalità umana. La vera rivoluzione deve avvenire nell’uomo insomma, e non è per Morin un passaggio scontato, conferendo egli (giustamente a parere del sottoscritto) la totale libertà di decidere come sarà il mondo futuro, allontanandosi quindi da ogni forma di determinismo socio-economico. Gli uomini possono cambiare le cose, bisogna solo capire se lo vogliono davvero, se prenderanno una coscienza tale da volerlo. Inevitabile per il sottoscritto il nesso tra questo passaggio e quello dell’etica della comunicazione strutturata da Karl Otto Apel. Indispensabile infatti per creare quella cittadinanza globale di cui parla Morin cercare di definire un sistema valoriale universale accettabile da chiunque, e che sia in grado di responsabilizzare ogni singolo abitante del pianeta.

Qui entra in gioco una seconda questione interessante dell’opera di Morin: la sua rinnovata concezione antropologica che porta ad escludere una certa unidimensionalità dell’essere umano (caro Marcuse sei passato di moda!), a scapito di una eterogeneità che può essere riassunta nella definizione “homo sapiens-demens”. L’uomo cioè non si può considerare solo nelle sue attività prosaiche (tecnica, lavoro, materialità) ma bisogna tener conto anche delle sue attività poetiche (la festa, il gioco, la danza, l’allegria, l’amore, l’estasi, l’immaginazione, l’avventura), non nell’ottica di oscurarle, ma di tenerle in debito conto e anzi nobilitarle quando occasione (cioè non arrecante danno altrui) di realizzazione individuale.
“Dobbiamo introdurre il mistero della politica, l’arte più incerta di tutte.”
Rinobilitare la politica passa anche da qui: riconferirle un aspetto umano che esca dalla mera amministrazione della materialità. Questo Vendola in Italia l’ha capito benissimo. E forse è la prima volta che ciò accade a sinistra senza scadere in simbologie e messianismi ormai fuori tempo massimo. E’ chiaro che le incognite riguardanti questa concezione della politica sono ancora evidenti, ma è senz’altro prezioso esser riusciti a cogliere finalmente un aspetto che le destre hanno saputo sfruttare inconsciamente nell’ultimo trentennio.

La condizione degli intellettuali nell’URSS di Stalin.
E’ una questione inquietante: perché gli intellettuali non hanno reagito a Stalin? Non si parla soltanto di quelli sovietici, i quali potevano più o meno forzatamente essere obbligati al silenzio, ma anche di gran parte di quelli europei, la maggior parte dei quali si è svegliata dal “sonno dogmatico” solo nel 1956 con la destalinizzazione.
La risposta di Morin è che lo stalinismo, nel suo mix di necessitarismo e messianesismo, era perfettamente adeguato alla teorizzazione astratta e assoluta, quella per cui l’idea vale più di ogni concretezza. Quella quindi per cui il socialismo è una meta ultima per cui si può pensare di sacrificare qualche migliaia se non milione di persone. Probabilmente Aristotele non pensava che la ricerca del bene tramite la fusione tra prassi e attività contemplativa potesse condurre ad esiti tanto aberranti. Ma probabilmente non lo pensava neanche Marx. Lenin forse sì, l’aveva intuito. Ma d’altronde quando ti trovi Stalin sul letto di morte certe cose le intuisci di getto…

“La politica è l’unica vera arte, e in sé rappresenta il contraddittorio”. Questa non ve la spiego perché voglio invitarvi alla lettura, ma l’ho trovata davvero geniale!

venerdì

Rock the casbah!-Mark LeVine (ISBN 2010)

a cura di Alessandro Pascale

Se vi interessa conoscere in maniera approfondita il mondo islamico “non convenzionale”, quello che rappa testi sacri come inni di protesta politica, o che scatena riff metal infuocati ritrovandosi in cantine per aggirare la censura, o che sfrutta i blog per diffondere musiche punk e rock diventando tra i siti più cliccati del Medio Oriente, se vi interessa conoscere almeno una parte di come realmente si svolge la vita in paesi come Marocco, Libano, Pakistan, Palestina, Egitto e Libano, allora Rock the casbah! è il libro che fa per voi.
La bellezza dell’opera di Mark LeVine non è solo quella di farci conoscere un mondo musicale assolutamente ignoto, ma anche di riuscire a far emergere le mille sfumature del mondo islamico (e non solo, Libano e Israele docent), molto più variegato e complesso di quanto è solito credere la maggior parte della gente comune che parla per sentito dire (magari dalla Lega…) o per dare aria alla bocca.
Ad esempio viene affrontata la questione del rapporto tra metal e islam: l’heavy metal ha sempre avuto anche in Occidente una pessima fama in certi ambienti, accusato di satanismo, immoralità, istigazione alla violenza, occultismo e via dicendo. Apparentemente sembrerebbe inconciliabile con la religione islamica, tant’è vero che non mancano gli estremisti (particolarmente grave è la situazione dell’Iran) che cercano di ostracizzarlo, soffocarlo e reprimerlo con ogni forza, anche per la sua origine d’importazione occidentale. Eppure ci sono anche moltissimi religiosi che non vedono inconciliabilità tra i due campi, e anzi in certi casi ne vedono addirittura dei vantaggi positivi.
Emerge che il vero motivo di soffocamento dei movimenti musicali underground è in realtà di origine politica: gran parte dei governi del Meda sono infatti democrazie unicamente di facciata, il cui sistema politico corrotto è sostenuto e legittimato dalle politiche imperialiste e neocolonialiste degli USA, che non per niente diventano spesso oggetto di odio e di invettiva, identificati come il vero grosso problema che impedisce ai popoli arabi di nutrire speranza in un prossimo cambiamento politico futuro.
In questo contesto illiberale le musiche “alternative” sono in molti casi l’unica forma di opposizione possibile: non in un’ottica di scontro frontale con il regime (che sarebbe suicida) ma di creazione di sottoculture caratterizzate pubblicamente solo da un’alterità musical-culturale, che solo nel privato si espone a livello di critica politica.
Borgna in passato ha detto che una rivolta immaginaria (ossia culturale) apre la porta alla vera rivolta politica, ed in ogni caso va vista come un fattore positivo, in quanto permette l’uscita dall’omologazione social-culturale e la formazione di un gruppo critico in grado di trasformarsi in qualcosa di più pericoloso per le istituzioni. E’ quello che è successo nel ’68 in fondo, con l’avvio di una fase che in Italia si è prolungata per un decennio.
Quello che LeVine si augura spesso durante l’opera infatti è la saldatura di questi movimenti di controcultura con i nuclei politici più progressisti. Gli uni senza gli altri da soli non hanno altre possibilità che quelle di vivacchiare tra mille pericoli, ma la loro unione potrebbe portare un giorno al tracollo dei governi autocratici e illiberali della quale conservazione siamo responsabili soprattutto noi occidentali. La storia ci farà sapere come andrà a finire.

sabato

Non piangere coglione-Amedeo Romeo (ISBN 2010)

a cura di Alessandro Pascale

Il primo romanzo di Amedeo Romeo (in passato autore e regista teatrale nonché traduttore e autore di libri per bambini e ragazzi) è una roba veramente deflagrante e scoppiettante: ritmo a mitraglia, piglio giovanile, linguaggio accattivante, surrealismo andante e una tecnica letteraria che rielabora con italica precaria freschezza lo stream of consciousness britannico di una volta (Joyce, Wolf, ecc). La storia di Andrea Morini, trentenne non più giovane che passa le giornate nel torpore più assoluto, eccitandosi alla visione di una qualsiasi donna incinta e all’odore delle creme per le smagliature da loro usate, è una storia perversa che potrebbe a prima vista rievocare il più cristallino stampo bukowskiano. E’ giusto solo in parte in realtà, perché se è vero che non mancano descrizioni dettagliate di fantasie erotiche ed esperienze sessuali masturbatorie (clamorosa quella in cui il protagonista si tocca lasciandosi sprofondare in vasca e canticchiando l’Internazionale sott’acqua) e complete (i numerosi rapporti con Lena, donna incinta all’ottavo mese che si legherà a lui in un rapporto molto speciale), bisogna anche constatare la profonda poesia e il ritmo narrativo pop che permeano molti passaggi dell’opera, dandogli un tocco di classe e di raffinatezza davvero notevoli. La vera distanza con Bukowski però sta nell’esistenzialismo e nello psicologismo continuamente sottesi e oggetto di domanda, laddove l’autore americano di dubbi ne aveva ben pochi, preferendo concentrare l’attenzione su un descrittivismo asciutto e sicuro di sé.
Il vero valore aggiunto dell’opera è la costruzione di un personaggio complesso e variegato come il protagonista: apparentemente disadattato, incapace di mantenere uno stile di vita regolare, immaturo, irresponsabile, egocentrico, probabilmente pervaso da turbe psichico-sessuali (vorrebbe essere donna e provare l’esperienza della maternità) Andrea Morini è lo specchio di una generazione di trentenni che è andata molto in là rispetto ai coetanei dell’Ultimo bacio, rifiutando in toto lo stile di vita borghese in ogni sua forma, non solo in quella social-religiosa della famiglia tradizionale con moglie e figli. Ha lasciato incinta due ragazze diverse per poi abbandonarle subito. Ha perso ogni sogno, passione o illusione che la propria vita possa regalargli qualcosa di buono. Il suo completo abbandono della razionalità meditata a discapito di un primitivo e selvaggio “istintismo” animale contrastano nettamente con la rigidità e le regole della società circostante e sono un motivo ricorrente che crea un effetto comico esilarante. Il finale è simbolico e sancisce la conclusione di un lungo percorso di formazione durato vent’anni, al termine del quale il protagonista riacquista la sua dignità di uomo, e si prepara ad affrontare finalmente quel mondo fatto di responsabilità senza svendere del tutto la propria natura individuale e anarchica, ma trovando in Lena, anch’essa in una certa maniera distaccata da certi “canoni classici”, il giusto punto di equilibrio per recuperare un senso della socialità e del valore dei rapporti umani basilari. Non piangere coglione è un’opera che vi farà morire dal ridere, talvolta vi scioccherà, infine avrete forse anche un brivido di disgusto, ma se siete di larghe vedute non potrete non apprezzarlo. NB: Astenersi bigotti perditempo e clericali reazionari.

giovedì

L’inedito di Hemingway-David Belbin ( ISBN 2010)

a cura di Alessandro Pascale

ISBN strikes again! Per chi avesse ancora particolari dubbi L’inedito di Hemingway è la conferma che la casa editrice diretta da Massimo Coppola è una delle realtà più importanti dell’industria letteraria italiana odierna. Che sia saggistica, narrativa o poesia, non c’è mai da annoiarsi, anzi si ride, si riflette, si rimane affascinati dalla suggestione creata da lavori di altissimo livello.
L’inedito di Hemingway ad esempio, è una splendida prosa sciolta che scivola via come un fresco gelato in una torrida giornata estiva. La scorrevolezza della narrazione e l’utilizzo di un lessico popolare (senza essere volgare) sono caratteristiche che l’autore, David Belbin, si porta senz’altro dietro dai fortunati trascorsi nella narrativa per ragazzi (opere di successo come I fabbricanti di nebbia e Lezioni d’amore), messe da parte per il vittorioso approdo alla letteratura per adulti. Non pienamente inserita nel duro mondo degli adulti siamo in realtà di fronte ad un’opera “di mezzo”, che mantiene un occhio privilegiato per l’età adolescenziale dalla quale il protagonista, Mark Trace, esce progressivamente e quasi inconsapevolmente, raggiungendo gradualmente l’emancipazione lavorativa, le prime avventure sessuali e la capacità di ingannare il prossimo. Il tutto però senza riuscire ad assumere uno status di vita regolare secondo i canoni della morale borghese, mantenendo anzi intatta la capacità di farsi guidare dal proprio più grande sogno: diventare uno scrittore. Un romanzo di formazione insomma, che si districa tra scadenti riviste di provincia, incontri con donne emancipate e ragazzine alle prime armi, scrittori in erba di dubbio successo e vecchi editori omosessuali. Ma soprattutto trionfano loro: i classici del Novecento, quei grandi autori che per la vicinanza storica non sono ancora studiati come dovrebbero dalle università, e la cui grandezza è oggetto di disputa tra critici di dubbia attendibilità.
Mark sogna di diventare uno di loro, ma il suo talento pare consistere unicamente nel riuscire a imitare alla perfezione lo stile dei vari autori. Forse col tempo riuscirà a trovare uno stile personale e a raggiungere la fama internazionale, ma nel frattempo per vari motivi ottiene apprezzamenti indiretti grazie a brevi racconti che spaccia come opere di autori del calibro di Hemingway e Greene. Senza spoilerare troppo ci limitiamo a constatare la bravura dell’autore nel riuscire a fondere una prosa agile, fresca e giovanile con una serie di riflessioni di notevole spessore: impossibile infatti non rilevare il nucleo originale dell’opera: la letteratura che imita la letteratura, o meglio la letteratura che racconta di un imitatore della letteratura altrui. Si viaggia tra Calvino e Borges insomma, mantenendo però un tasso di maggiore concretezza rispetto al primo e minore spessore filosofico (o se volete: di maggiore colloquialità) rispetto al secondo.
Insomma se non sono stato abbastanza chiaro, questa è materia di primissima qualità.

sabato

Controcanto di Marco Revelli, edizioni Chiarelettere

Questo "disagio dell'inciviltà" ci opprime. La svolta c'è già stata: le torture a Bolzaneto, le leggi contro i vagabondi, la caccia ai Rom, la segregazione degli immigrati, i "pacchetti sicurezza" del centrosinistra e la scelta a favore della guerra, la violenza contro i diversi e gli Altri. La "pedagogia del disumano" sembra essere oggi l'unica politica possibile. I diritti conquistati nel Novecento - uguaglianza, lavoro, libertà, cittadinanza - non sono più acquisiti in forma universale ma se mai concessi in modo selettivo. Il "Controcanto" di Revelli racconta la mutazione di questi anni, ponendosi dalla parte "sbagliata", di chi non ha nessuna garanzia e rappresentanza ed è escluso dal grande gioco della democrazia mediatica, plebiscitaria e disciplinare, dove è assente qualsiasi responsabilità civile e politica. Allora è necessario spezzare questa "rappresentazione" con un gesto estremo di secessione estetica ed etica, prima che politica. Un "controcanto" appunto, con un nuovo coro.

a cura di Piero Valleise

giovedì

Controcanto di Marco Revelli edizioni Chiarelettere

Per favore comunque la pensiate leggete l'ultimo libro di Marco Revelli "Controcanto".

martedì

Roberto Saviano

Venerdì 26 marzo arriverà nelle librerie il dvd del monologo che ROBERTO SAVIANO ha tenuto nel corso dello speciale di CHE TEMPO CHE FA nel marzo del 2009 .

Così presenta il cofanetto Roberto Saviano sul suo sito:


Attra­verso il rac­conto della cronaca quo­tid­i­ana ho cer­cato di far emerg­ere la realtà di una guerra sconosci­uta a gran parte del Paese. Migli­aia di morti negli ultimi dieci anni, tra cui decine di vit­time inno­centi: ecco la ver­ità del Sud Italia

Il titolo è LA PAROLA CONTRO LA CAMORRA (978880620218) e contiene oltre al dvd un saggio di Roberto.



Molte le iniziative per provuovere il cofanetto:

Giovedì 25 marzo
- Anticipazione su Repubblica con copertina dedicata di R2.
- Intervista di Mollica al TG1 delle 20

Venerdì 26 marzo
- Copertina del venerdì di Repubblica, Saviano sarà intervistato da Marco Cicala
- Su repubblica.it - intervista, estratto di due o tre minuti.

Domenica 28 marzo
- Incontro con Saviano all'interno di "Libri come" (la nuova festa del libro di Roma), presenta Marino Sinibaldi.

Domenica 11 aprile
- Partecipazione a "che tempo che fa"..

domenica

Giovanni De Luna-Le ragioni di un decennio. 1969-1979. Militanza, violenza, sconfitta, memoria (Feltrinelli, Milano 2009)

a cura di Alessandro Pascale

Il libro di De Luna andrebbe letto nelle scuole. Lo so che mi sono già trovato spesso a fare questa esclamazione per molti libri, d’altronde non è colpa mia se a scuola i ragazzi a malapena riescono ad arrivare in maniera decente alla seconda guerra mondiale e non sanno niente della storia della nostra Repubblica… Se gli parli di dc, psi, pli, msi si allontanano pensando che sei stato colpito da chissà quale morbo linguistico che fa straparlare. Se gli parli di pci gli viene voglia di giocare con il loro computer portatile. Però se gli parli di comunismo lì non c’è pericolo: la televisione ha fatto bene il suo dovere, e l’equiparazione con il fascismo non è mai casuale nelle vocine di questi simpatici adolescenti ignoranti. Gramsci, Togliatti e Berlinguer chi li ha mai sentiti?

Il dato terribile della nostra epoca presente è la perdita di memoria. Su questo credo siano un po’ tutti d’accordo. Studiosi, giornalisti, analisti, di destra, centro, sinistra, spesso anche sui giornali lamentano la perdita di memoria che sembra aver colpito la totalità degli italiani, sempre più rapiti e rimbambiti da ipod e grandi fratelli. Si lamenta ad esempio che il popolo non ricordi nemmeno che il lodo Alfano è una versione moderna del lodo Schifani, emanato appena un lustro prima, figurarsi quindi quanto possa essere forte la memoria degli italiani di un decennio ormai distante più di trent’anni: quello iniziato con le proteste studentesche e le lotte operaie di fine anni ’60 e terminato con la loro sconfitta di fine ’70, simboleggiata da una serie di eventi quali l’assassinio di Aldo Moro, la marcia dei 40000 di Torino, l’inizio del calo elettorale del PCI, e via dicendo.

In mezzo un’epoca forse irripetibile (per lo meno in tempi brevi), in cui movimenti vari hanno lottato, ottenuto diritti, rinvigorito temi come l’antifascismo, la centralità operaia, la difesa dei lavoratori e della Costituzione, la presa di coscienza di classe, denunciato la collusione tra mafie e DC, l’ipocrisia del regime culturale borghese e capitalista e, purtroppo, anche deciso di usare le armi per abbattere un regime reazionario, autoritario e repressivo. Un regime che permetteva ai suoi dipendenti (le forze di polizia) di sparare ad altezza d’uomo e uccidere per sedare quegli scalmanati, che chissà cosa avevano mai in testa, forse di fare la rivoluzione, forse di vivere in un mondo migliore…
“Tutti sapevano che lo Stato era colluso con le stragi di stato. Tutti sapevano che gran parte dei politici di governo erano corrotti, o facevano interessi particolari, fossero quindi collusi con Confindustria o con la mafia. Tutti sapevano, e qualcuno reagì prendendo in pugno le armi.”

Più o meno è questo l’assunto di partenza di De Luna, che riesce a riscostruire un decennio nella sua totalità, mettendo in evidenza le differenze di violenza tra destra e sinistra (stragi di massa le prime, omicidi isolati le seconde), senza ovviamente parteggiare per le seconde, ma semplicemente volendo spiegare bene tutto il contesto attorno al quale sono nati fenomeni come le Brigate Rosse e Prima Linea. Un contesto fatto di un regime che vedendosi stretto nella morsa di un PCI sempre più forte e di una serie di movimenti sociali sempre più influenti e radicati, ha saputo rispondere solo con la repressione, lo stragismo di stato, le manganellate e le pallottole. La certezza di una democrazia bloccata (dal fattore K) e la volontà di ottenere giustizia e verità hanno naturalmente portato certe frange dei movimenti di protesta alla violenza, non senza un dibattito aspro e incerto, da cui non è stata esente nemmeno Lotta Continua, oggetto di sguardo privilegiato da parte di De Luna. Oggi però queste storie non sono raccontate. Oggi gli anni ’70 sono semplicemente gli anni di piombo. La spirale di violenza di sinistra che ha avvolto soprattutto la seconda metà del decennio è stata artificialmente espansa a tutto il decennio, cancellando ogni riferimento all’eccezionale positività del primo decennio, in cui il conflitto e la lotta di classe avevano saputo far progredire lo siluppo socio-economico generale in maniera assolutamente non-violenta e pacifica, a dispetto delle stragi di stato create con l’obiettivo di far ricadere la colpa sui comunisti, quando invece è stato assodato dai tribunali che fossero state compiute dai fascisti e da reparti collusi dei servizi segreti.

Queste verità non le racconta nessuno, e oggi il revisionismo storico è ad uno stato avanzatissimo, secondo un progetto iniziato con la lode dei repubblichini di Salò (in un processo avviato nel 1996 dal presidente della Camera Luciano Violante, oggi tra i più illustri esponenti del PD che propongono una riforma condivisa della giustizia con Berlusconi). Si tenta di riscrivere la storia, per poi diffonderla tramite televisioni e discorsi istituzionali. L’unica nostra possibilità di memoria viene ancora una volta dai libri. E allora leggiamoli e ricordiamo i tanti compagni caduti per la libertà, la democrazia, l’antifascismo, e anche il comunismo. E ringraziamo storici come Giovanni De Luna per la loro azione culturale senza la quale saremmo inghiottiti da personaggi orwelliani come Violante.

mercoledì

L'umiliazione di Philip Roth. Einaudi 2010. 17,50 euro

Tutto è finito per Simon Axler, il protagonista del nuovo conturbante libro di Philip Roth. Simon, uno dei più grandi attori teatrali della sua generazione, ha superato i sessant'anni e ha perso la sua magia, il suo talento e la sua sicurezza. Quando sale sul palcoscenico si sente un pazzo e si vede un idiota. La sua fiducia nelle proprie capacità è evaporata; s'immagina che la gente rida di lui; non riesce più a fingere di essere qualcun altro. "E scomparso qualcosa di fondamentale". La moglie se n'è andata, il pubblico l'ha abbandonato, il suo agente non sa come convincerlo a tornare in scena. In questo atroce resoconto di un'inspiegabile e terrificante autodistruzione, emerge il contraltare di un insolito desiderio erotico, certo una consolazione in quella vita spogliata di tutto, ma tanto rischiosa e aberrante da frustrare ogni speranza di conforto e gratificazione per puntare dritto verso un finale ancora più cupo e rovinoso. In questo lungo viaggio verso la notte, raccontato da Roth con l'inimitabile urgenza, bravura e serietà di sempre, tutti i mezzi che usiamo per convincerci della nostra solidità, tutte le rappresentazioni che nella vita diamo di noi stessi - talento, amore, sesso, speranza, energia, reputazione - vengono messi a nudo.

a cura di Piero Valleise

L'arte di annaccarsi. Un viaggio in Sicilia. roberto Alajmo. Laterza. 16 euro

Annacare/annacarsi è in dialetto siciliano un verbo insidioso, difficilmente traducibile in italiano. Quel che più si avvicina è cullare/cullarsi, ma non è proprio la stessa cosa. L'arte di annacarsi prevede il muoversi il massimo per spostarsi il minimo. Una immagine che descrive bene lo spirito dell'isola e più ancora la disposizione d'animo dei siciliani tessuta di diffidenza. Ogni viaggio in Sicilia, anche quello intrapreso in questo libro, diventa una specie di danza immobile attorno alla geografia e alla filosofia, alla storia, al folklore e alla gastronomia, scoprendo che fra le diverse discipline esistono continui rimandi a una trama inestricabile. "Pur restando immobile, l'Isola si muove. Non è uno di quei posti dove si va a cercare la conferma delle proprie conoscenze. È invece un teatro dove le cose succedono da un momento all'altro. È un susseguirsi di scatti prolungati, pause per rifiatare e ancora fughe in avanti". Come l'Isola, Alajmo procede a zig-zag in un itinerario non lineare, senza vincoli di percorso né di tempo, da un capo all'altro, sulla base di pure suggestioni, guidato dalla bellezza, accompagnato da un lucido pessimismo. Come un atto d'amore che non si nasconde nessuna vergogna dell'oggetto amato: capita di innamorarsi di una canaglia. E anche se lo sai, che puoi farci?

a cura di Piero Valleise

giovedì

Presentazione del libro "Patire le beatitudini" di fratel MichaelDavide

Mercoledì 31 marzo presso la biblioteca regionale di Aosta presenteremo il libro "Patire le beatitudini" di Fratel MichaelDavide edito da edizioni la meridiana, 18 euro
L'autore è monaco benedettino del monastero di Germagno (VB), dal 1983. Dopo i primi anni di formazione monastica, ha conseguito il dottorato in Teologia Spirituale presso l'Università Gregoriana di Roma.
...."le beatitudini sono l'attestazione che la realtà, così come essa è , può diventare un luogo e un modo di felicità. Sono la sfida in base alla quale si può credere che non c'è nient'altro che possa rendere felici se non quello che si è e ciò che la vita ci permette di essere".....
...."le beatitudini sono la negazione assoluta di ogni spiritualità narcisistica e prometeica"...
Presenterà la profssa Manuela Lucianaz

lunedì

L’invenzione dell’economia-Serge Latouche (Bollati Boringhieri 2010)

a cura di Alessandro Pascale

Lo confesso subito: la lettura dell’ultimo testo di Latouche è stata un’opera alquanto impegnativa e per certi versi impervia. Pur essendo molto fresco di studi (filosofici et similia) è stato infatti assai arduo riuscire a stare dietro a tutti i sistemi di pensiero, le citazioni, i paroloni di cui è composta complessivamente l’opera. Non un testo facile quindi, né di scorrevole lettura. Piuttosto un manuale da utilizzare con estrema cautela, che meriterebbe una particolare attenzione per l’enorme quantità di contenuti che presenta al lettore.

Contenuti vecchi e nuovi, in quanto L’invenzione dell’economia altro non è che una raccolta di saggi scritti ieri e anche l’altro ieri, disposti in maniera un po’ dispersiva lungo una scaletta che lungi dal voler essere esauriente ed esaustiva appare per l’appunto una serie di frammenti, seppur dottissimi e accuratissimi. Nella mia confessione aperta non posso omettere che la serie dei saggi non è di interesse uniforme, bensì a scritti più intriganti e divulgativi (sia per tema che per linguaggio usato) se ne alternano altri talmente verbosi e (sic!) inerpicabili da rendere impervia qualsiasi scalata logica. Dovendo fare il punto si segnalano come particolarmente interessanti i saggi su “L’invenzione del lavoro nell’immaginario sociale”, “Mandeville, ovvero la svolta della filosofia occidentale”, “Il lusso ghigliottinato”, “L’autodistruzione dell’umanesimo liberale” e qualcosina de “L’antieconomico di Aristotele”. Oltre ovviamente alla conclusione, assai più attuale e “politica” per gli accenni alla contemporaneità.

Nel complesso però vorrei mettere in guardia il lettore che si aspetta una rappresentazione lineare e didattica della nascita (o dell’invenzione) dell’economia. Un’opera del genere, lo precisa bene anche l’autore, è probabilmente impensabile per le possibilità di un solo individuo. Occorrerebbe infatti un lavoro enciclopedico, dagli esiti incerti, difficilmente oggettivi e in definitiva di dubbio valore scientifico. E’ difficile infatti trovare una via d’uscita unanime ed obiettiva dalle analisi di Latouche, che dal canto suo non lesina sulle buone vecchie citazioni marxiste, lanciate qua e là come àncore di salvezza per i lettori naufraghi. E confesso che non posso evitare di trattenere un sorrisetto malizioso ogni volta che constato che come il buon vino le massime marxiane sembrano migliorare col tempo, restando più valide che mai.

L’atteggiamento complessivo (ed è senz’altro il più grande pregio dell’opera) di Latouche è però quello di smontare ogni certezza dal punto di vista del pensiero economico. Viene messo in rilievo come ogni concetto dato oggi per assodato non sia nient’altro che una precisa invenzione storica del pensiero umano. Avvolti nel calderone di suggestioni, autori sconosciuti e citazioni sapienti una certezza emerge facendosi largo e scolpendosi nel marmo: appare infatti chiara la relatività morale, culturale e filosofica di cui è imperniata ogni attività economica che ci circonda. E un libro che smonta certezze è senz’altro un libro che val la pena di esser letto.